Tutte le strade portano al Mac Laren's
- Valentina Quaranta
- 15 set 2024
- Tempo di lettura: 7 min
Per amore del viaggio e della narrazione siamo soliti a pensare che per comprendere a pieno una storia bisogna partire dall’inizio, ma non è certo questo il caso.
Oggi voglio partire dalla fine di una storia che non è solo d’amore, ma è un racconto esistenziale che attraversa tutti gli stadi della consapevolezza umana di cui parlava Kierkegaard.
How I met your mother è una sitcom dei primi anni 2000, come tale ha i presupposti per essere una serie leggera e godibile in ogni periodo dell’anno. La narrazione in analessi e la caratterizzazione di Ted, Robin, Lily, Marshall e Barney all’apparenza stereotipati sono il segreto del successo della serie che quest’anno festeggia 10 anni dall’ultimo episodio.
Come dicevo, partiamo dalla fine quindi se fai parte della minoranza che non ha ancora visto How I Met Your Mother, recuperala, poi torna a leggere questo articolo.
In quanto uno, se non il finale più discusso della storia delle serie tv, circoscriviamo la polemica al triangolo Barney, Robin e Ted (più Tracy che in qualche modo ne rimane esclusa), lasciando in disparte Marshall e Lily. In fondo è giusto che sia così, loro sono la coppia stabile, quella a cui ambire agli occhi di Ted, che nonostante gli alti e bassi sono sempre disposti a fare un passo verso l’altro.
Sappiamo che il finale era già stato scritto fin dalla seconda stagione, ed è stato pensato per animare discussioni e dissenso, ma Lily e Marshall non restano esclusi da queste intenzioni perché se ben vi ricordate durante l’ultima stagione assistiamo a una delle liti più intense della coppia. Marshall ha accettato il lavoro da giudice a New York e Lily vuole andare in Italia per un anno con il Capitano, facendo trasferire tutta la famiglia a Roma.
Chi ha ragione?
La vita è imprevedibile, interviene quando meno ce lo aspettiamo: con una proposta di lavoro allettante dall’altra parte dell’oceano o con l’arrivo di un nuovo bambino. Marshall ancora una volta sacrifica il suo piacere personale, in favore della famiglia che, a questo punto dello stadio etico, vale più di ogni cosa. Marshall riesce perfino ad elevarsi allo stadio religioso, per cui non si chiede perché lo fa, la sua priorità è Lily e farebbe di tutto per renderla felice.
Lily affronta un percorso esistenziale ben diverso da quello di Marshall, nonostante le loro strade siano destinate a intrecciarsi e a procedere di pari passo.
Nella prima stagione conosciamo una Lily Aldrin spensierata, appagata e realizzata sul piano sentimentale, pronta al grande passo, ma rassegnata all’idea che l’arte per lei, sarà sempre solo un hobby. Per inseguire il suo sogno lascerà Marshall e ciò che lui rappresenta: responsabilità, impegno e legame.
Aveva bisogno di sbagliare, di crescere personalmente e di vedere che una vita basata sui piaceri sensoriali non potrà mai soddisfare la sua sete di successo. In questo passo della seconda stagione si concentra il suo arco di crescita che poi viene ripreso in quella stanza d’hotel, dove in solitudine sa di non poter andare a Roma senza la sua famiglia, ma non è pronta a lasciar andare il suo sogno professionale benché conscia di doverlo fare.
Non è mai troppo tardi per trovare il proprio posto nel mondo, non c’è un solo modo per crescere e accettare le responsabilità di cui la vita ci fa carico. Barney lo sa.
Paragonarlo a un Don Giovanni sarebbe riduttivo, ma senza dubbio Kierkegaard lo avrebbe incasellato nello stadio estetico: donne, alcool, gioco d’azzardo nasce come stereotipo su gambe; ed è ironico pensare che nella realtà Neil Patrick Harris sia la persona più lontana dallo sciupafemmine allergico ai legami che interpreta, anche se alla fine riusciamo a intravedere un po’ di Neil in Barney.
Un’intera stagione dedicata alla preparazione del suo matrimonio con Robin, celebrazione della sua crescita personale, per poi annullare tutto con un divorzio in cinque minuti di scena. Struggente, ma estremamente realistico. Sappiamo che i veri motivi di questa scena sono legati alla fretta di chiudere la stagione, ma credo che calzi a pennello. Rimarca ancora una volta la filosofia ultima della serie: passiamo tutta la vita a progettarla e poi ci scivola via in un attimo.
Questa separazione non significa che lui non sia adatto alle relazioni stabili, più volte ha dato prova della sua intenzione di maturare e condividere la propria vita con un’altra persona e tutti questi tentativi hanno funto da maestre di vita: Robin gli insegna le dinamiche di coppia, Nora la fiducia e Queen la stabilità che poi cercherà nuovamente in Robin.
Ma ad essere sinceri, le volte in cui assistiamo a un cambiamento evidente in Barney siamo in presenza di legami viscerali: con suo padre, sua madre, James e la figlia stessa.
La festa del non papà e l’amore incondizionato per i contraccettivi si annullano davanti al legame tra padre e figlio. Non avrebbe mai scelto di avere figli perché non è nella sua natura, per questo Robin appariva la donna perfetta per lui, ma un figlio inaspettato, frutto di una notte di avventura come tante altre è un espediente narrativo perfetto per la crescita del personaggio. Il fatto che sia nata una bambina, Ellie, rende il contrappasso ancora più evidente, non lascerebbe mai che altri uomini facessero a sua figlia ciò che lui praticava con il playbook.
Una scena d’impatto è quella in cui Robin torna dopo tanto tempo a New York e con risentimento vedendo tutto ciò che ha perso in quel tempo, guarda Barney e gli dice: daddy’s home, perché finalmente lui ha trovato la sua dimensione, ma scherzosamente rifiuta le sue avance, perché nella sua vita c’è posto per una sola donna e quella è Ellie.
Nell’attesa di conoscere la donna della sua vita, la confonde più volte con un’altra persona ma la vita è realista e lo porta a fermarsi anche quando non vorrebbe. A prima vista quel divorzio sembra ingiusto, controverso, ma se da una parte Barney senza esserne consapevole stava aspettando Ellie, dall’altra Robin aveva altre priorità.
Robin è infatti l’emblema del tempismo mancato, in queste nove stagioni si divide tra la carriera e l’amore senza sapere realmente come conciliare le due cose, quindi predilige il lavoro senza mai rinunciare del tutto a una vita sentimentale.
Non è il personaggio più complesso ma forse il più realistico. Lei sa di essere una brava giornalista ed è al profilo professionale che si appoggia nei momenti di difficoltà, perché sa di poterlo gestire, mentre sul fronte sentimentale è tutta un’altra cosa. Robin è impacciata, inesperta e impaurita ma non ha mai smesso di provarci: prima con Ted, poi Don, Kevin e Barney. Conosce i suoi limiti e da questi cerca di tutelare chi si aspetta qualcosa di diverso dal futuro, qualcosa che lei non può dare, né vuole avere. Per questo Barney sembra la scelta giusta rispetto a un Ted ostinato a trovare la madre dei suoi figli, perché lei non vorrà mai esserlo.
Nell’ultima stagione infatti Ted deve lasciar andare definitivamente Robin, concedendo la benedizione a Barney di sposare la donna della sua vita, ma è la sposa a non esserne più tanto certa. Ama incondizionatamente Barney, è evidente, ma cercherà in lui tutto ciò che aveva rifiutato da Ted per amore dello stesso. Con queste premesse non avrebbe mai potuto funzionare, e a dirla tutta il tempismo non era nemmeno dalla sua parte. Barney forse era pronto per legarsi per sempre a lei dopo aver bruciato il Playbook, ma lei evidentemente no: doveva ancora viaggiare, vivere, sperimentare e un matrimonio le stava troppo stretto, così il divorzio era inevitabile.
La sua costante indecisione non ha favorito un happy ending con Barney, e se non fosse stato per Tracy, nemmeno Ted ne avrebbe mai avuto uno senza Robin.
Dopo tutte le relazioni fallite a causa della presenza della ex nella sua vita, ci è stato chiaro che l’unica donna possibile per lui dovesse essere aperta all’idea che non esiste un solo amore; e solo perché la vita te ne ha già dato uno, non significa che non possa ripetersi.
Tracy è la metà perfetta di Ted, se ci credessi potrei parlare di anima gemella. Dopo la perdita prematura di Max pensava di non avere più possibilità di incontrare ancora un amore tanto intenso. Louis è stata una possibilità ma anche dopo aver avuto il ricevuto un segno di benedizione, lei capisce che non ha trovato ancora l’uomo della sua vita.
Il passaggio esistenzialista di Tracy è contorto quanto prematuro. Lei vive in uno stadio etico, ma con la disillusione di ricrearlo nel tempo. Dopo la morte di Max lei non retrocede allo stadio estetico come Ted, perché lei sa già che non è uno stile di vita che le appartiene. Il lungo viaggio che la porterà dal suo futuro marito, non è altro che il percorso che lei deve fare per accettare la morte del compagno e perdonarsi per aver provato ad andare avanti.
Analogo è il discorso per Ted.
Dopo aver conosciuto Tracy riesce per la prima volta a chiudere veramente il capitolo Robin, accettando anche la sua assenza alle nozze. Ma il fatto che sia proprio Tracy a rintracciarla per portarla al matrimonio, va interpretato non solo come l’atto d’amore che le precedenti fidanzate non sono riuscite a fare per lui, ma anche come benedizione per un futuro ritrovo dopo la sua morte e così è stato.
Quindi è vero: non è la storia di come Ted ha conosciuto la madre, ma di come lui, attraverso la narrazione, ha accettato la morte di Tracy e ha chiesto il permesso ai figli, ma soprattutto a se stesso per andare avanti chiudendo di fatto un ciclo.
Potete dire quello che volete, ma era evidente dal primo momento che Ted e Robin sarebbero finiti insieme.
Non è un finale convenzionale, ma è disarmante, reale; ci insegna che la vita anche nel migliore dei casi, alla Lily e Marshall, non è perfetta, tanto meno prevedibile.
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