Il galateo è innocente
- Valentina Quaranta
- 16 dic 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 29 mar
Quando si parla di galateo, si materializza nella mente l'immagine di un mondo in bianco e nero: donne adornate con guanti lunghi fino all'avambraccio, avvolte in abiti sontuosi, che si muovono con grazia studiata, evocando l'eleganza senza tempo di un'epoca aristocratica.
Le norme di buona educazione non erano cucite solo sui merletti delle donne di un tempo; anche gli uomini erano educati a seguire un codice non scritto di cavalleria, quel sottile equilibrio tra rispetto e gentilezza che oggi sembra passato di moda. Sarebbe riduttivo, banale e, soprattutto, falso affermare che Quando si parla di galateo, si materializza nella mente l'immagine di un mondo in bianco e nero: donne adornate con guanti lunghi fino all'avambraccio, avvolte in abiti sontuosi, che si muovono con grazia studiata, evocando l'eleganza senza tempo di un'epoca aristocratica.
Le norme di buona educazione non erano cucite solo sui merletti delle donne di un tempo; anche gli uomini erano educati a seguire un codice non scritto di cavalleria, quel sottile equilibrio tra rispetto e gentilezza che oggi sembra passato di moda. Sarebbe riduttivo, banale e, soprattutto, falso affermare che “non ci sono più gli uomini di una volta". La verità è che sono le donne, oggi, a sentirsi oppresse dalla tradizionale idea del galantuomo che corre in aiuto.
Oggi il femminismo rivendica autonomia, parità tra i sessi e il diritto di pagarsi una cena da sole. Sembra che il galateo stia vivendo i suoi ultimi giorno.
La porta che un tempo si apriva senza esitazioni, oggi resta chiusa, perché nessuno vuole rischiare di essere accusato di paternalismo. È comprensibile: il gesto si perde, e con esso l’idea di una società in cui aiutarsi non è segno di superiorità, ma di rispetto.
Aprire la porta è solo una virgola nell’immensità di situazioni potenzialmente equivoche che possono crearsi durante un’interazione tra i sessi. Il conto, invece, è forse il nodo più difficile da sciogliere.
A chi spetta pagare? A chi guadagna di più? A chi è più disponibile? A chi ha invitato l’altra persona? Oppure all’uomo, perché nel Cinquecento la figura maschile rispondeva a queste domande? Difficile dirlo. Ciò che posso dire è che permettere a qualcuno di offrire una cena o un caffè non ci rende più deboli o caritatevoli, ma semplicemente grati.
Certo, si potrebbe dividere il conto, spezzando però la magia della serata, con il rischio di sembrare tirchi. Oppure si potrebbe sistemare i conti di nascosto, magari con la scusa di andare in bagno; ma in questo caso, non c’è ragione che tenga: la “romanticheria” potrebbe essere interpretata come un tentativo di riaffermare il dominio patriarcale. E così, pagare il conto potrebbe diventare l’ultima cosa che farete per quella ragazza.
Lasciando da parte la figura maschile, che gioca sicuramente un ruolo importante nella battaglia contro il galateo, torniamo alle donne, che non sono da meno. Una delle accuse più frequenti mosse al galateo, riguarda proprio il vestiario: un punto nevralgico e divisivo nel mondo femminile, e delicato per me.
A partire da Coco Chanel, molte donne si sono mobilitate per liberare la femminilità, facendola rimare con comodità e autorità, ma sempre nel rispetto del galateo. Oggi il galateo viene spesso scavalcato dal libero arbitrio delle anticonformiste: a Sanremo senza tacchi, a scuola in canottiera e la sera con le sneakers. Le norme delle buone maniere insistono su postura, portamento e linguaggio, ma anche il contorno non deve essere trascurato.
Come dicevo, il galateo detta regole all’insegna del rispetto, e ogni contesto esige un linguaggio e un abbigliamento adeguati. Il Festival della canzone italiana, ad esempio, è un evento elegante, che porta con sé anni di tradizione e ha visto passare su quel palco alcune delle voci più iconiche ed eleganti del nostro paese. È un appuntamento fisso: ogni sera della settimana di febbraio sulla Rai, con tutti vestiti in abiti eleganti, spesso lunghi e firmati da case di moda rappresentative.
Tuttavia, nelle ultime edizioni, siamo stati testimoni di outfit stravaganti, anticonformisti e quotidiani, ben lontani da ciò a cui eravamo abituati nel corso delle 70 precedenti.
L’ambito scolastico è diverso. Non esiste un unico dress code, salvo la divisa, ormai rara anche nelle scuole private. Ci si aspetterebbe di vedere una varietà di stili e abbinamenti che rispecchino le diverse personalità degli studenti, ma purtroppo non è più così: i social e le mode da essi promosse hanno reso i ragazzi tutti uguali, indistinguibili.
Finché si parla di indossare le stesse scarpe, felpe e marche, può essere comprensibile. Ciò che, invece, non può essere tollerato è la mancanza di rispetto verso l’istituzione. Quando andavo a scuola, non era raro che le ragazze — più spesso dei ragazzi — fossero invitate a tornare a casa per indossare abiti più consoni all’ambiente. Ora, per quanto ne so, le scuole non sono più così rigide, forse perché rassegnate a una generazione più combattiva e meno rispettosa delle autorità.
Crescono più in fretta. La brama di bruciare le tappe ce l’avevamo anche noi, ma venivamo tempestivamente frenati dalla realtà e dalle regole di mamma e papà. Anno dopo anno ci era concesso fare qualcosa di nuovo e indipendente, come sbloccare un livello. Le prime scarpe col tacco, le prime uscite serali, i primi vestiti attillati: tutto avveniva step by step.
Crescere in fretta, però, significa anche assumersi le responsabilità che ne derivano. Oggi, invece, le ragazze — e anche i ragazzi — sembrano prediligere la comodità a tutto il resto. Ricordo che, finché non era di moda averne una, eravamo in poche a uscire con la borsa. Prima di essere un accessorio femminile e fotogenico, la borsa era uno strumento comodo per avere sempre tutto il necessario: chiavi, portafoglio, fazzoletti, e altro ancora.
Ricordo molte mie amiche che giravano con le tasche piene di oggetti di valore, per poi svuotarle nella mia borsa; e oggi, con l’avvento delle mini bag — che a malapena contengono il cellulare — sembra che nulla sia cambiato. Non un bello spettacolo per il galateo.
Tutte le millennials — e quelle acquisite fino al 2004 — da bambine si intrufolavano nella camera della mamma per provare le scarpe con il tacco, sognando un giorno di possederne un paio della propria taglia. Simbolo di potere, autorità e femminilità, il tacco è stato una delle rivoluzioni più importanti nel mondo della moda. Oggi, però, viene ridotto a un “strumento di tortura" di matrice patriarcale.
Le ragazzine appena adolescenti sgomitano per indossare il vestito più provocante e attillato da sfoggiare nei locali, ma non ci pensano a rubare le scarpe delle loro madri o sorelle maggiori.
Ogni luogo ha il suo dress code, e i locali alla moda richiedono abiti che catturino l’attenzione e scarpe che lascino il segno: stivali o sandali col tacco, mentre le ballerine restano già sull’uscio. Certo, sempre meglio di un paio di Air Max.
Il femminismo lotta per la parità, il galateo per il rispetto reciproco. Nessuno dei due dovrebbe prevalere sull’altro, a patto di saper cogliere la buona intenzione dietro il gesto. In fondo, mettere da parte l’orgoglio (e magari anche il portafoglio) non ha mai sminuito nessuno.
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