Giuro solennemente di non avere buone intenzioni
- Valentina Quaranta
- 27 ott
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 28 ott

A ventitré anni e ho finalmente ricevuto la mia lettera per Hogwarts. Si, è arrivata con un certo ritardo, ma non ho mai smesso di crederci.
Da Olivander la bacchetta mi ha scelta: carpino con nucleo di fenice, dodici pollici e mezzo, flessibile. Niente male per una strega cresciuta nel mondo dei babbani.
Una combinazione rara dicono: il carpino sceglie maghi determinati e coerenti, mentre la fenice rende la bacchetta una delle più leali al mondo. È una fedeltà che non si può fingere: chi non ne condivide i principi non potrà mai davvero impugnarla.
La lunga veste nera di Piton, e la McGranitt, sempre pronta a rimproverare la goffaggine di qualche studente, fanno ancora più impressione dal vivo. Ma nulla in confronto alle torture inflitte dal Cappello Parlante.
Aveva così tanta fretta che non mi ha nemmeno fatta sedere, eppure aveva voglia di parlare. Si è chiesto perché una ventitreenne frequentasse solo ora la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts; forse, in effetti, la mia lettera si era davvero persa alle Poste Italiane.
Quando ha iniziato a scrutarmi dentro, mi sono chiesta io stessa cosa avrebbe visto: ambizione, certo, ma anche lealtà e umanità.
Certo, se fossi stata bambina nel 1991, avrei bramato di finire insieme a Harry, Ron e Hermione. Ma quel tempo è passato, e io ero in ritardo di dodici anni. Non avevo grandi pretese, perciò fui sinceramente sorpresa quando il Cappello scelse per me Grifondoro.

Il rosso mi dona, anche se non ho mai pensato di essere una persona coraggiosa. Alcuni avvenimenti recenti, però, mi hanno costretta a esserlo. Mi guardo intorno e vedo ragazzi che il coraggio l’hanno conosciuto davvero: hanno affrontato la paura, la perdita, la morte. Io il dolore l’ho provato, certo, ma è un passaggio inevitabile per tutti; non è come assistere alla morte di un fratello o vedere un genitore torturato fino alla follia da quei pochi Mangiamorte sopravvissuti alla battaglia leggendaria.
Quando la finzione incontra l’immaginazione, può trasformarsi in realtà. So che il cielo stellato sopra di me è solo un incantesimo ben riuscito, eppure, per chi come me è cresciuto sognando quello sfondo punteggiato di candele fluttuanti, è la materializzazione di tutti i desideri espressi davanti alle torte di compleanno.

Resterei a guardarlo per sempre, ma ci sono ancora un sacco di magie che voglio vedere e voglio provare. I quadri si muovono davvero, alcuni sembrano immobili, ma se inizi a fissarli, quando meno te lo aspetti, sbattono le palpebre, ruotano la testa o si mettono a discutere su quanto sia stonata la signora Grassa: certe cose non cambiano mai.
Ottenere un livello da M.A.G.O. in un solo anno è quasi impossibile, ma dopo tanto tempo passato a studiare le materie bidimensionali del mondo babbano, non voglio più aspettare.
La prima ora è Pozioni.
Lumacorno non sarà Piton, ma non se la cava male. Tutto mi sembra surreale: davanti a noi dispone sul tavolo cinque fiale: Amortentia, Felix Felicis, Polisucco, Skele-Gro e Veritaserum. Sono pozioni tanto affascinanti quanto complesse. Io non sono Hermione Granger, e non ho nemmeno il libro del Principe Mezzosangue. A dirla tutta, non sono mai stata portata per la chimica, ma sospetto che qui si tratti di qualcosa di completamente diverso.

La stravaganza, unita a un pizzico di follia del professor Lumacorno lo porta a farci scegliere autonomamente la pozione da replicare. Non è una decisione semplice. Sono abbastanza presuntuosa da credere di non aver bisogno di un filtro d’amore, quindi scarto subito l’Amortentia. La Felix Felicis sarebbe utile a una come me, ma ricordo bene che, prima di Harry, solo una persona era riuscita a riprodurla. Non essendo una studentessa da “Eccezionale”, preferisco orientarmi su qualcosa di più realistico per le mie scarse capacità.
Resto sorpresa nel vedere tra le opzioni la Skele-Gro: è magia avanzata, una pozione medica che Madama Chips usò per far ricrescere le ossa a Harry durante il secondo anno. Non fa per me.
La Polisucco, sembra essere più accessibile a un principiante: si insegna al quarto anno, in occasione dei M.A.G.O., anche se sappiamo che molti l’hanno provata ben prima. Ma se riuscirò a padroneggiare l’arte della Trasfigurazione con la professoressa McGranitt, forse la Polisucco non mi servirà mai.
Il Veritaserum non è impossibile da preparare, certo, richiede tempi di fermentazione lunghi ma è molto raro e non si trova certo in commercio. In più, se riuscissi a prepararlo come si deve, forse persino Piton ne sarebbe orgoglioso.

Dopo Pozioni sono colpita nel vedere tra le opzioni Divinazione: una materia che promette misteri e rivelazioni, ma dopo che la Professoressa Cooman ha predetto per me che «il meglio deve ancora venire», decido di abbandonare l’aula; se non altro, per scoprire se aveva ragione. Dopotutto, quella lezione non può essere la migliore esperienza che Hogwarts ha da offrire.
Così, mi dirigo verso la serra per l’ora di Erbologia, dove trovo un volto familiare: Neville Paciock.
Entrando nella serra, rimango affascinata dai soffitti altissimi e dalle finestre opache, da cui si snodano liane e piante di ogni tipo. Tra tutte le aule che ho visitato, questa è indubbiamente la più fredda e disordinata. foglie autunnali che colorano la terra umida della serra, in perfetto stile Halloween. In fondo, entrare nell’aula di un professore significa immergersi nella sua mente, e questo caos riflette perfettamente la personalità di Neville quando era ancora studente.
I vasi sono ovunque, ma non sono vasi qualunque. Dalla terra emergono tronchi con ciuffi di foglie disordinati, che si dimenano come se non avessero spazio a sufficienza: sono le Mandragore. Ne sradico una e capisco subito perché siano necessari i paraorecchi.
Inutile dire che il banchetto nella Sala Grande è un’esperienza che non riuscirò mai a digerire completamente; non ho mai visto così tanto cibo tutto insieme. Mi sento davvero come quella versione di me stessa di undici anni che ha sempre sognato questo mondo, senza mai poterlo toccare e vivere davvero.
Prima della lezione di Quidditch con Madama Bumb, una delle mie più grandi aspirazioni, avevo appuntamento nella Torre Nord per la lezione di Difesa Contro le Arti Oscure con la Professoressa Brindlemore.
Si dice che a volte Harry Potter faccia visita per tenere delle lezioni extra sul campo, un po' come un corso su come sopravvivere alle Arti Oscure. Mi sarebbe piaciuto incontrarlo di persona, ma so che è impegnato in un progetto molto importante per l’integrazione dei lupi mannari nella società. Remus sarebbe così fiero di lui.
L’aula è più grande di quanto la immaginassi, c’è un'anticamera dedicata a tutti gli ex professori caduti per il bene superiore: Lupin, Moody e Piton.
Questa non è un’aula come le altre. L’ambiente è ampio e leggermente circolare, le pareti di pietra nera riflettono la luce delle torce come un cielo d’inverno. La professoressa Brindlemore ha mantenuto la stanza in uno stato di ordine austero: pochi banchi, ampi spazi liberi per gli esercizi pratici, e al centro una pedana di legno segnata da anni di duelli magici.
C’è qualcosa, in quell’aula, che vibra nell’aria: una tensione sottile, come se ogni parete fosse ancora intrisa dell’eco degli incantesimi lanciati in passato. Eppure, è impossibile non sentirsi al sicuro.

Lungo le pareti si allineano scaffali colmi di libri logori e ampolle dal contenuto indecifrabile: polveri argentee, piume nere, frammenti di rune luminose. Un armadio incantato, coperto da un telo viola, nasconde un molliccio che, a detta della professoressa, «non dorme mai, ma attende solo di conoscere il tuo vero volto».
Il molliccio infatti, assume la forma di ciò che più ci spaventa. La teoria non era troppo difficile, per non dire elementare: Riddikulus! Una cosa è studiare la paura, un’altra è guardarla negli occhi. Quando il molliccio si è trasformato in quel corpo senza vita, ho capito che restare lucidi era la parte più difficile. Sapere che non è reale non basta, bisogna esserne convinti e urlarlo con sicurezza: Riddikulus! Ma d’un tratto sembra la parola più difficile da pronunciare.
Anche le paure degli altri sono difficili da guardare. Dalle api che si riversano a sciami su una compagna di banco, fino alla visione cruda e spietata della morte. La professoressa ci incoraggia, e poco a poco la stanza si riempie di risate tremanti: un ragno indossa un cappello buffo, una bara si apre e ne esce un coro di paperelle stonate. La paura, per un istante, si lascia addomesticare.
Per fortuna la lezione finisce in fretta, e possiamo liberarci del peso con qualcosa di molto più leggero: una partita di Quidditch. «Su!» — grido. La scopa risponde subito, sollevandosi fino alla mia altezza, docile e impaziente di partire. L’altezza mi ha sempre fatto paura, ma stavolta non posso tirarmi indietro. Ho sognato per anni di afferrare una pluffa e lanciarla nei cerchi dorati di Serpeverde, Corvonero o Tassorosso.
La scopa, una vecchia Nimbus 2000 di seconda mano, vibra leggera sotto le mie dita. Non ho un grande controllo, ma almeno riesco a sollevarmi da terra senza cadere. È un equilibrio precario tra paura e meraviglia, e per un momento mi sembra davvero di volare.
Avevo appena iniziato a prenderci gusto, a capire come tenere la scopa dritta e sono riuscita perfino a segnare qualche goal, grazie alla fortuna del principiante, quando ci fu ordinato di rientrare nel Castello e proseguire con la nostra avventura.
Non so bene cosa succeda qui dentro, ma da quando sono arrivata, il tempo sembra scorrere a modo suo. Potrebbero essere passati pochi minuti o un giorno intero, difficile dirlo. So solo che, senza capire come, sono atterrata in un camino del Ministero della Magia sporca di metropolvere.
Non so perché e non so chi abbia avuto il coraggio di scomodare il Ministro in persona, Hermione Granger.
L’atrio del Ministero era ancora più imponente di come l’avevo immaginato: colonne di marmo, il pavimento lucido come specchio, e al centro la grande fontana con le statue dei maghi e delle creature magiche unite in simbolo di una pace conquistata a caro prezzo. Hermione ci guida verso un corridoio laterale, dove un’enorme porta di bronzo si apre lentamente, rivelando una stanza circolare: è la Sala delle Profezie.
Qui si è combattuta una delle battaglie più importanti del mondo magico. Non solo per la profezia in sé, ma per ciò che rappresentava: la lotta tra verità e paura, tra bene e male. «Dolores Umbridge credeva di proteggere l’ordine, ma in realtà ne stava distruggendo l’anima», ci spiega la Ministra.

Camminando tra gli scaffali infiniti di sfere luminose, ho la sensazione che in ognuna si nasconda un frammento del nostro presente, come se ogni profezia fosse lì a ricordarci che la storia, prima o poi, si ripete. Alla fine del corridoio c’è una porta rosa, un pugno nell’occhio in mezzo a tanta solennità. È la copia perfetta dell’ufficio della Umbridge: piatti con gatti miagolanti, qualche reliquia dei suoi anni al
Ministero, e sul muro la frase incisa con dolore — I must not tell lies.
Dietro quella porta, dicono, che si trovino i fantasmi del passato di Harry: il letto nel sottoscala dei Dursley, i tre Doni della Morte, e il peso di un destino che non ha mai davvero scelto.
Tornata ad Hogwarts, il castello mi accoglie come se sapesse che non potrò restare a lungo. Le candele tremano e anche le scale smettono di muoversi, come se anche loro volessero lasciarmi. Solo i corridoi sembrano ancora respirare, e io ho l’impressione che ogni pietra racchiuda una storia.
Camminare qui, lanciare incantesimi, volare su una scopa (più o meno senza morire); tutto questo ha qualcosa di profondamente reale, anche se so che non lo è.
Non potevo chiedere di meglio per i miei ventitré anni: ciò che ho sempre immaginato è in qualche modo diventato un ricordo vissuto.
E ora...
Fatto il misfatto.
V



Commenti