Il terzo posto
- Valentina Quaranta
- 4 nov 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 26 nov 2024
Stessa storia, stesso posto, stesso bar: così cantavano gli 883 del loro terzo posto, quel luogo speciale dove ci si ritrova con gli amici fuori dalla routine. Caffetterie, parchi, centri culturali, librerie e palestre sono solo alcuni esempi di questi spazi essenziali per la socializzazione. Il terzo posto rappresenta, infatti, il luogo di incontro fuori casa – il primo posto – e lontano dal lavoro o dalla scuola – il secondo posto.
Le sitcom più iconiche costruiscono le loro storie proprio su questo concetto, raccontando le vite di giovani che trascorrono i loro anni migliori in un semplice bar, rendendo straordinaria anche la quotidianità.
A partire dagli anni ‘90, anche la quotidianità è cambiata, quasi stravolta: gli amici di una vita si conoscevano al liceo, oggi invece, rappresenta l’incubo di una buona maggioranza degli studenti. Il rapporto tra lo studente e il docente è disinteressato e quello tra compagni significativamente superficiale, molto più di rispetto al passato.
Prima dei social, il concetto di "terzo posto" era fondamentale per la socialità. Era un luogo di ritrovo fisico e familiare, dove le persone potevano stare insieme, sentirsi parte di una comunità e condividere esperienze senza la fretta imposta dai media di oggi. Ogni città d’Italia ha dei luoghi iconici, dove generazioni di giovani si sono incontrate e riconosciute.
Un esempio iconico è il Bar Basso, un locale storico di Milano che accoglieva generazioni di frequentatori in cerca di un buon drink e di buona compagnia. L’atmosfera era familiare e il tempo sembrava sospeso. I clienti abituali erano parte dell’arredamento quanto i bicchieri e le bottiglie dietro al bancone. Il passaparola faceva il resto: sapevi che, ogni sera, avresti trovato qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, ridere o discutere della giornata. Non c’era bisogno di appuntamenti virtuali: si arrivava e basta.
Oggi il Bar Basso è ancora lì, a quell’angolo, frequentato soprattutto la sera, ma ora è il luogo d’incontro di chi si è già conosciuto su Instagram.
Per essere meno milanocentrica, vi cito il famoso muretto: che fosse nelle grandi città o nei piccoli borghi, tutti i giovani ne avevano uno. Qui i gruppi si ritrovavano dopo il tramonto, spesso dopo la scuola o il lavoro. Il muretto era più di una semplice seduta: era un pezzo di storia da cui, puntualmente, ci si portava via qualcosa, magari un po' di cemento scrostato.
Ci si raccontava storie, si parlava della vita, dei progetti futuri e delle piccole disgrazie della giornata, nulla però che una birra ghiacciata non potesse aggiustare. Le risate e le confidenze restavano lì, rafforzando legami solidi e duraturi.
Questi terzi posti erano luoghi di socialità immediata e spontanea, dove la presenza fisica era tutto. La comunità non si costruiva con un click, ma con la presenza reale, con lo stare insieme, apprezzando le piccole cose e lasciando che le relazioni crescessero naturalmente, serata dopo serata. Oggi non è più così.
Oggi molti ragazzi emarginati dal gruppo classe tornano a casa e si rifugiano nella realtà virtuale, dove trovano la loro dimensione. Il terzo posto della Generazione Z è internet; in particolare, i social media giocano un ruolo chiave nella socializzazione, diventando spazi di incontri, espressione e appartenenza.
A cavallo tra il 2022 e il 2023 si lamenta una notevole crisi nel mercato delle discoteche, che vede il 30% in meno di ingressi: percentuale che è destinata a salire sempre di più. Questo fenomeno non è esito di una generazione impigrita, ma conseguenza inevitabile di una pandemia che ha alterato l’equilibrio di un’intera società. Il primo posto diventa anche il secondo: non esiste più una netta separazione tra ambiente familiare e personale, per non parlare del terzo posto, che viene snaturato del tutto.
Houseparty, Skype, Meet: ognuno aveva il proprio modo per rimanere in contatto con gli amici. Personalmente ricordo le lunghe ore passate in videochiamata con le mie amiche; in pratica vedevo più loro e i professori che i miei stessi genitori. Le discoteche sono state tra le prime attività a chiudere e le ultime a riaprire, e questo spiega in parte il calo degli ingressi di cui parlavo prima: gli adolescenti hanno trovato modalità alternative per passare le serate, anche se a volte non pienamente legali o permesse dalle restrizioni in vigore.
Questo lockdown globale ha avuto un impatto significativo su tutta la popolazione, che, con il tempo, ha sentito sempre meno la necessità di uscire anche solo per mangiare una pizza. Persino l'asporto ne ha risentito: perché vestirsi per uscire a ritirare la cena quando è possibile riceverla direttamente a casa, portata da un rider? Pensandoci, il paradosso è quasi comico, considerando che, durante la quarantena, saremmo stati disposti persino ad adottare un cane pur di avere una scusa per uscire tre volte al giorno e respirare un po' d’aria fresca.
In questo contesto, i social media sono diventati i nuovi punti d'incontro e veri centri di socializzazione. Certo, esistevano già prima della pandemia, ma con l'inizio del nuovo decennio sono diventati più frequentati che mai, e anche potenzialmente più pericolosi.
La conseguenza sociologica più evidente è l’aumento dei problemi di salute mentale, incluso il tragico tasso di suicidi. A soffrirne maggiormente sono stati coloro che, già prima, nutrivano insicurezze legate all’aspetto fisico e all’autostima, vulnerabilità che i social media amplificano, presentando modelli di bellezza idealizzati e irraggiungibili come norme della realtà.
Quando però la dimensione virtuale diventa l'unico contesto in cui interagiamo, queste difficoltà si fanno ancora più pesanti, specialmente per chi si avvicina al mondo digitale per la prima volta, trovandosi in un ambiente che distorce il confronto sociale e le aspettative.
Se dovessi davvero puntare il dito, lo farei contro TikTok: il social più competitivo di tutti, che lancia continuamente sfide sempre più popolari e talvolta pericolose. Inizialmente concepito come una piattaforma per i più giovani, dal 2020 TikTok ha ampliato i suoi orizzonti, aprendo le porte a contenuti politici e a numerosi altri settori che prima rimanevano esclusi.
Questa evoluzione ha trasformato la piattaforma in un luogo dove l'intrattenimento e l'informazione si intrecciano, spesso in modi che possono avere un impatto significativo, più o meno positivo, sulla percezione della realtà da parte degli utenti.
Le dirette erano all’ordine del giorno; molti artisti cercavano modi alternativi per sostituire temporaneamente i concerti, utilizzando queste piattaforme per mantenere un rapporto stretto con i fan e creare un nuovo punto di incontro all’insegna della sicurezza.
Nel 2021, sono stata invitata a una presentazione di un libro che si è svolta in modo inedito: non in una libreria o in un centro culturale, ma durante una diretta su Instagram. In quel contesto, ho avuto l’opportunità di interagire con l’autore sotto l’anonimato del mio profilo poco conosciuto, guardandolo negli occhi come se stesse rivolgendo le sue parole proprio a me.
L’annullamento delle distanze geografiche e gerarchiche è uno dei principali punti di forza di internet. Quando la realtà che ci circonda sembra non adattarsi completamente a noi, le nuove app ci offrono la possibilità di entrare in contatto con persone lontane che, per qualche motivo, si avvicinano di più al nostro modo di pensare e di essere.
Questa è la community. Anche se oggi il termine sembra legato soprattutto alla sfera digitale, non è altro che una conferma: la comunità e le interazioni che la definiscono stanno progressivamente migrando verso una dimensione virtuale.
La comunità virtuale, a differenza di quella “reale”, è più vasta e inclusiva: riesce a superare barriere geografiche e sociali, promuovendo l’attualità e diffondendo messaggi di grande impatto.
Un esempio significativo si è verificato il 2 giugno 2020, quando milioni di utenti Instagram e Facebook hanno aderito al movimento Blackout Tuesday, postando immagini completamente nere accompagnate dall’hashtag #BlackLivesMatter per denunciare la brutalità della polizia e mostrare solidarietà dopo l'omicidio di George Floyd.
In quell’occasione, una semplice azione digitale è diventata un megafono globale, ricordandoci il potere dei “terzi posti” virtuali nel sensibilizzare e mobilitare le persone verso cause comuni, anche se apparentemente lontane.
I movimenti nati sul web spesso si trasformano in raduni fisici, dove le persone possono condividere pensieri, emozioni e messaggi importanti.
Un esempio recente risale al 17 ottobre, quando è uscita la notizia della morte di Liam Payne, ex membro della celebre boy band degli anni 2000. Per settimane, internet è stato invaso da messaggi di cordoglio e vicinanza alla famiglia, ma ciò che ha colpito maggiormente è stata la reazione dei fan.
I Directioner di tutto il mondo si sono ritrovati in parchi e piazze per ricordare Liam, creando luoghi sicuri dove poter piangere insieme un idolo, un riferimento della propria adolescenza e infanzia. Video tributo sono arrivati da città come Mosca, New York, Londra, Buenos Aires, Rio de Janeiro e tante altre, con sconosciuti uniti dal dolore di una grande perdita, dimostrando come anche il lutto possa diventare un'esperienza condivisa e collettiva, nata nel digitale e vissuta nel mondo reale.
Le comunità virtuali esistono e sono composte da persone che trovano un contatto anche nella vita reale. La sfida sarà bilanciare l'uso di questi spazi online con la necessità di interazioni fisiche autentiche.
C’è chi aveva il muretto, chi il Bar Basso e chi ora ha trovato il proprio “terzo posto” sul web: l’importante è averne uno. E questo è il mio.
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